L’app Meta AI è al centro di un’ondata di critiche e preoccupazioni dopo che numerosi utenti si sono accorti di aver condiviso pubblicamente domande e conversazioni che ritenevano private. Alcuni giornalisti tech hanno definito la situazione un “disastro per la privacy”, paragonandola alla scoperta che la propria cronologia del browser sia stata pubblica per tutto il tempo senza che nessuno lo sapesse.
TechCrunch ha evidenziato come la gestione predefinita della privacy sia talmente discutibile da risultare paradossale. Non importa se si ammette qualcosa di compromettente o se si chiede aiuto per un problema delicato: il rischio di esposizione è concreto. Meta, infatti, non segnala chiaramente agli utenti lo stato delle proprie impostazioni sulla privacy durante la pubblicazione delle chat e non specifica dove verrà visualizzato il contenuto condiviso.
Se si effettua l’accesso a Meta AI tramite Instagram e il proprio profilo è pubblico, anche le ricerche e le domande rivolte all’intelligenza artificiale diventano pubbliche di conseguenza. Un esempio è rappresentato dalle ricerche esplicite che finiscono online senza alcun filtro.
Molti utenti stanno scoprendo di aver pubblicato conversazioni credendo di condividerle solo con persone specifiche. Nell’app, il flusso di condivisione consente di selezionare l’opzione per condividere una chat, che conduce a una schermata di anteprima del post prima della pubblicazione. Tuttavia, una parte significativa degli utenti sembra non rendersi conto che, in questo modo, le loro conversazioni, i messaggi vocali e le immagini diventano visibili a chiunque.
Secondo quanto riportato da Business Insider, queste chat pubblicate sarebbero collegate direttamente agli account social degli utenti. Le vere identità di Instagram o Facebook vengono associate ai post generati tramite Meta AI. In alcuni casi è stato possibile risalire ai profili reali delle persone che avevano condiviso domande o messaggi imbarazzanti, evidenziando così la portata del rischio. Il tentativo di contattare oltre venti persone coinvolte ha confermato che molte non erano affatto consapevoli di aver reso pubblici quei contenuti.
Se da un lato si può imputare l’errore a chi preme volontariamente il tasto di condivisione, dall’altro la gestione delle impostazioni predefinite rappresenta una grave falla per Meta. La maggior parte degli account Instagram è pubblica e lo stesso Meta promuove l’uso di login collegati su tutte le sue piattaforme, il che aumenta il rischio.
Il caso solleva una questione più ampia sulle pratiche di privacy nel settore dell’intelligenza artificiale. Negli ultimi anni, molti chatbot hanno raccolto dati da ogni angolo del web per l’addestramento dei propri modelli e continuano a utilizzare le domande degli utenti per migliorare il servizio.
Secondo diversi osservatori, bisognerebbe evitare di inserire dati sensibili come nomi, recapiti o dettagli privati all’interno delle chat con l’AI, proprio perché non è possibile essere certi della reale destinazione delle informazioni condivise.
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