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    Garanzia legale, AppleCare, Sanzione AGCM: Facciamo un po’ di chiarezza sull’argomento

    Roberto VadalàBy Roberto Vadalà31 Gennaio 2012Commenta7 Mins Read
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  • In data 27 Gennaio, abbiamo pubblicato sul nostro portale la notizia dell’aggiornamento, da parte di Apple, del proprio store online a seguito della sanzione inflitta, da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), alla stessa società californiana, rea – secondo l’Autorità – di pratiche commerciali scorrette nei confronti dei consumatori. A seguito dei commenti rilasciati sullo stesso articolo, abbiamo ritenuto necessario realizzare un articolo di approfondimento – attraverso il supporto di un esperto in materia – per fornire a voi tutti delle preziose delucidazioni sull’argomento.

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    La sanzione inflitta ad Apple e la presa di posizione dell’AGCM sulla condotta commerciale della società californiana potrebbe rappresentare un punto di svolta rispetto all’annoso problema della tutela dei consumatori contro le  pratiche commerciali ritenute più insidiose. Soprattutto, la decisione dell’Agenzia ha il merito di restituire, almeno in parte, dignità ai consumatori, ribadendo che l’etica non può e non deve restare fuori dai rapporti commerciali ed economici, quasi fosse un vezzo cui poter rinunciare. Per cogliere cause ed effetti del citato verdetto è necessario tuttavia fare un passo indietro e fissare alcuni punti sulla normativa esistente in materia, così da godere degli strumenti necessari per una migliore comprensione dei termini del problema.

    L’OGGETTO DELLA GARANZIA

    Con il D.Lgs. 206/2005 è stata data attuazione alla Direttiva Comunitaria 44/99 dettata in materia di vendita e garanzie dei beni di consumo. Il decreto, introduttivo del c.d. Codice del Consumo, trasfonde in ambito nazionale regole valevoli in tutto l’ambito comunitario, senza alcuna eccezione, applicabili a qualsiasi imprenditore che ceda i propri prodotti a cittadini comunitari.

    Ai sensi dell’art. 130, comma 2 “in caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto”. La norma ha il pregio di essere intellegibile anche per i non addetti ai lavori, salvo la necessaria specificazione che il difetto di conformità deve essere inteso nella sua accezione più ampia, comprensiva di vizi, mancanza di qualità e difetti in generale.

    IL SOGGETTO TENUTO ALLA GARANZIA

    Secondo, invece, l’art. 132, comma 1 “Il venditore è responsabile, a norma dell’art. 130, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene”. La disposizione è chiara nell’affermare che già da subito il responsabile nei confronti del consumatore è soltanto il venditore (in quanto sua unica controparte contrattuale), sicchè quest’ultimo non potrà certo pretendere (né durante il primo anno né mai) che il consumatore si rivolga direttamente al produttore per le riparazioni necessarie. Semmai, per le riparazioni e le sostituzioni effettuate il venditore avrà quello che in termini tecnici si chiama “diritto di regresso”, ossia la possibilità di chiedere al produttore il rimborso di quanto anticipato, previa dimostrazione che il difetto derivava da un errore di produzione o progettazione.

    Come mai, allora, quando si acquista un prodotto Apple fuori dagli store ufficiali (es. Mediaworld) è comunque possibile, in caso di problemi, avere un contatto diretto con la casa madre?

    La risposta sta nella volontà di Apple, da una parte, di fidelizzare il cliente, gratificandolo con un servizio di assistenza rapido, funzionale e privo di intermediari, e, dall’altra, di  esaltare la propria immagine consolidando la reputazione di azienda super-efficiente anche nella delicata fase dell’assistenza. Da un punto di vista giuridico, tuttavia, tale trattamento di favore rappresenta per il produttore solo una facoltà, non esistendo alcuna norma che lo obblighi a prendere direttamente in consegna beni che egli stesso non abbia venduto al consumatore. La Apple, quindi, si fa carico nel primo anno dei guasti incorsi ai propri prodotti, concedendo una garanzia convenzionale (cioè non dovuta per legge) che si somma a quella legale dovuta dal venditore. Dalle considerazioni appena riportate può comprendersi il motivo di tanta riluttanza da parte di alcuni rivenditori quando si tratta di sostituire/riparare un prodotto durante il suo secondo anno di vita: se unico responsabile nei confronti del consumatore è il venditore e la garanzia convenzionale del produttore è solo (nel migliore dei casi) di un anno, ecco che il primo si vedrà costretto ad accollarsi il costo degli interventi realizzati durante il secondo anno, salvo che dimostri con perizia che il difetto era di produzione/progettazione (facile immaginare le conseguenti perdite di denaro e tempo, soprattutto per gli esercizi commerciali più piccoli), e potendo così esercitare il diritto di regresso riconosciutogli dalla legge.

    LA PROVA DEL GUASTO

    Recita l’art. 132 al comma 3 “Salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data…”. Da tale affermazione i produttori (e chi fa i loro interessi) hanno fatto discendere, a contrario, il principio secondo cui decorsi i primi sei mesi spetterebbe al consumatore, tramite perizia, provare che il difetto lamentato sussisteva già al momento della conclusione del contratto. Questa visione non è corretta, e ciò per diversi motivi:

    • Da nessuna parte si menziona la necessità di una perizia, soprattutto se a carico del consumatore;
    • La regola generale è che spetta al debitore (ossia al rivenditore) dimostrare di aver adempiuto o di non poter più adempiere per causa a lui non imputabile. In questo senso si è espressa anche la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sancendo un principio che, di fatto, è legge), affermando che il creditore (cioè il consumatore), nel caso in cui agisca per ottenere l’adempimento e il risarcimento del danno, è comunque tenuto a provare esclusivamente la fonte del proprio diritto (ossia il contratto), mentre spetta al debitore l’onere di provare il fatto estintivo della pretesa del creditore (vale a dire di avere adempiuto).
    •  E’ impensabile che il Codice del Consumo, la cui ratio è una migliore tutela dei consumatori, abbia posto una regola che rispetto al passato peggiora, anziché migliorare, la loro posizione contrattuale.

     

    I MOTIVI DELLA SANZIONE AD APPLE

    L’Apple Care è un servizio a pagamento offerto dalla casa che consente di godere di alcuni vantaggi particolari e aggiuntivi rispetto a quelli previsti dalla legge con l’art. 130, comma 2, quali il ritiro a domicilio del prodotto, l’attribuzione di canali preferenziali per interloquire con tecnici e specialisti, assistenza da remoto e così via. Il problema è che tale servizio, ulteriore e del tutto differente rispetto alla garanzia legale (dovuta se e quando Apple diviene anche rivenditore), viene offerto già dal secondo anno, ingenerando così nel consumatore (secondo l’AGCM) la convinzione che, in caso di mancata adesione, sarà costretto a farsi carico già dopo i primi 365 giorni degli interventi necessari. In questo senso Apple è stata accusata di aver fornito indicazioni non sufficientemente chiare ed esaustive, così da fugare qualsiasi dubbio in ordine alla sussistenza, anche durante il secondo anno, della garanzia “standard” prevista per legge.

    CONCLUSIONI

    Alla mela morsicata, in definitiva, è stata imposta maggior trasparenza nelle comunicazioni e nei rapporti commerciali con la sua clientela. In particolare, è stato intimato di chiarire che a cominciare dal secondo anno la protezione offerta con l’Apple Care si aggiunge, non sostituendosi, a quanto già riconosciuto ai consumatori dalla legge. Dall’esame della normativa riportata emerge che, indubbiamente, è quella del rivenditore la posizione contrattualmente più debole, trovandosi quest’ultimo tra il martello dei produttori e l’incudine dei consumatori. Ciò non vale, tuttavia,  per negare ad essi i diritti loro riconosciuti dalla legge, considerando che quella di operare sul mercato è una scelta libera e, dunque, libero è l’intendimento di sottoporsi a una certa normativa. La speranza è che la presa di posizione dell’AGCM possa assumere una valenza pedagogica per tutte le aziende operanti nel settore.

     Giovanni Brianda

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